L’obbligo dichiarativo di cui all’art. 95, comma 10, del D.Lgs 50/2016 tra costi diretti e costi indiretti del personale nell’ambito di un affidamento di servizi e forniture sanitarie

di Avv. Rosa Sciatta

La sentenza del 28.10.2022 n. 9312 del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale III Sezione è stata resa a favore di una Azienda Sanitaria mia assistita, Stazione Appaltante, nei confronti della società concorrente seconda in graduatoria in una procedura aperta per l’affidamento del servizio di gestione, distribuzione e fornitura dei gas medicinali AIC, dei gas medicinali F.U., dei gas tecnici e di laboratorio, nonché per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti di stoccaggio, produzione on-site e di distribuzione, presso i Presidi ospedalieri e sanitari della stessa Azienda. La gara prevedeva che l’aggiudicazione sarebbe avvenuta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’art. 95, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, prevedendosi l’attribuzione di 70 punti per la qualità dell’offerta e 30 per il prezzo.

Alla gara hanno partecipato solo due concorrenti, ovvero il RTI controinteressato, al quale la gara è stata aggiudicata con punti 94,92, e la ricorrente che ha invece conseguito 82,99 punti, classificandosi conseguentemente in seconda posizione.

Con sentenza del 28.10.2022 n. 9312 il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale III Sezione si pronuncia sull’affidamento di servizi e forniture sanitarie (cd. appalto misto), riformando la sentenza del Tar impugnata che aveva accolto uno dei motivi di impugnazione proposti dalla ricorrente seconda classificata, sancendo che non configura violazione, da parte del RTI aggiudicatario, del disposto dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016, l’avere esposto, in modo solo parziale, nell’offerta economica, la voce di costo relativa alla manodopera e omesso di indicare, all’interno della suddetta voce relativa al costo del personale, tutti gli ulteriori costi della manodopera incidenti sulla commessa, riferibili a servizi subappaltati o svolti da personale non adibito a tempo pieno nell’appalto, che sarebbero stati indicati in modo indistinto, ovvero “in modo aggregato” all’interno dell’offerta concernente i singoli servizi. In particolare, afferma il Collegio giudicante che dal mancato rispetto – in termini di onnicomprensività e completezza dell’obbligo dichiarativo di cui all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 – non può conseguire l’esclusione automatica del concorrente, ogniqualvolta non sia contestata la congruità complessiva dell’offerta (da verificare nell’ambito del relativo sub-procedimento di verifica di anomalia) né la mancata osservanza dei minimi salariali.

Nella parte conclusiva della sentenza il Consiglio di Stato tiene a precisare che la conclusione esposta è in linea con la ratio dell’obbligo dichiarativo ex art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016, dal momento che, se lo stesso è finalizzato a responsabilizzare l’offerente in ordine alla determinazione, certa e prefissata, del costo della manodopera connesso all’esecuzione dell’appalto, a tutela dei diritti retributivi della maestranze ex art. 36 Cost., il suo consapevole assolvimento presuppone la conoscenza dei dati – connessi essenzialmente, come si è detto, a numero e qualifica del personale necessario – da porre a base del calcolo. L’obbligo ex art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 deve ritenersi sempre cogente, ma la sua applicazione deve essere coerente con i limiti posti dal legislatore, ed ulteriormente precisati dalla giurisprudenza, all’ambito dei costi della manodopera all’uopo rilevanti.

Tale sentenza affronta l’interessante tema dell’obbligo dichiarativo di cui all’art. 95, comma 10, del D.Lgs. 50/2016 in relazione ai  costi diretti e ai costi indiretti del personale. Invero secondo giurisprudenza costante, nella quale si inserisce anche la sentenza in commento, l’obbligo di indicare i costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità da parte della stazione appaltante – si impone solo per i dipendenti impiegati stabilmente nella commessa (c.d. “costi diretti”), in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (c.d. “costi indiretti”), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, n. 8261/2021; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, n. 3457/2021; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6786/2020; Consiglio di Stato, sez. III, n. 6530/2020; Consiglio di Stato, sez. V, 21 ottobre 2019, n. 7135/2019).

L’obbligo dichiarativo di cui all’art. 95, comma 10, del d.lgs. 50/2016 infatti risponde all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione (art. 36 Cost.) e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l’offerta in gara maggiormente competitiva rispetto alle altre (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6306/2020; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3972/2020; Consiglio di Stato, sez. V, n. 1008/2020; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6786/2020; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, n. 3457/2021).

Tale essendo la ratio della citata prescrizione è gioco forza riconoscere che l’esigenza di tutela è avvertita solo e proprio per quei dipendenti impiegati stabilmente nella commessa (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6786/2020; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, n. 3457/2021), che vanno cioè a costituire i c.d. costi diretti. I costi indiretti, invece, non concorrono a determinare il costo della manodopera oggetto di obbligo dichiarativo ex art. 95, comma 10 del D.Lgs. 50/16, e sono pertanto allocabili nell’ambito delle spese generali della commessa.

La sentenza è altresì interessante nella parte in cui elenca le tipologie di servizi e forniture in ordine ai quali non sussiste un obbligo dichiarativo dei costi della manodopera, come ad esempio per le forniture senza posa in opera o i servizi di natura intellettuale. Invero, a tal proposito, si ricorda che ricorre l’ipotesi della fornitura senza posa in opera ove il bene si presti ad essere utilizzato immediatamente dopo la sua consegna da qualsiasi utente, anche se privo di particolari competenze o conoscenze tecniche, richiedendosi soltanto una snella, semplice, agevole installazione e un altrettanto immediato semplice collaudo delle apparecchiature senza il dispendio di particolari energie lavorative di carattere manuale, che possano acquistare rilievo al punto da configurare, propriamente, una posa in opera (cfr. ex multis Cons. di Stato, Sez. III, 27 luglio 2020, n. 4764; Cons. di Stato, Sez. III, 19 marzo 2020, n. 1974; Cons. di Stato, Sez. III, 9 gennaio 2020, n. 170; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 27 marzo 2019, n. 661; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, sez. II, 10 dicembre 2020, n. 2471). Assumono la qualifica di servizi di natura intellettuale quelli caratterizzati da prestazioni professionali svolte in via eminentemente personale, che implicano un’attività ideativa e di elaborazione di soluzioni, pareri e assimilati, e che possono essere svolte eventualmente in parallelo ad attività materiali, purché risultino prevalenti rispetto a queste ultime nel contesto della prestazione erogata (cfr. ex multis Cons. di Stato, Sez. V, 21 febbraio 2022, n. 1234; Cons. di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 31 marzo 2021, n. 278; Cons. di Stato, Sez. V, 22 luglio 2020, n. 4688; Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10 luglio 2020 n. 4431; Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1481; T.A.R Lazio, Roma, Sez. III-quater, 24 settembre 2019, n. 11287; T.A.R. Reggio Calabria, Sez. I, 30 dicembre 2019, n. 751; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, 28 ottobre 2019, n. 12373; T.A.R. Lazio, Roma Sez. II, 04 luglio 2019, n. 8836; Cons. Stato, Sez. V, 16 marzo 2016, n. 1051; A.N.AC., Linee Guida n. 13, approvate con Delibera n. 114 del 13 febbraio 2019, recanti “Disciplina delle clausole sociali”).

Nella medesima sentenza in commento, il Consiglio di Stato, inoltre, pone l’accento sulle modalità di attribuzione del punteggio da parte della Commissione di gara statuendo che le valutazioni tecniche formulate dalla commissione di gara costituiscono espressione di discrezionalità tecnica, la quale è sindacabile in sede giurisdizionale solo laddove risulti inficiata da macroscopici vizi di illogicità, travisamento di fatto, palese violazione delle regole tecniche pertinenti. Deve inoltre osservarsi che il giudizio della commissione di gara, con riferimento a ciascuno dei criteri di valutazione previsti dalla lex specialis, è necessariamente complesso, costituendo il punteggio all’uopo attribuito l’espressione di sintesi di una analisi globale preordinata a porre in risalto tutti gli aspetti dell’offerta suscettibili di assumere rilievo coerentemente all’oggetto ed alla finalità di ciascun parametro valutativo. Invero, l’attività valutativa della commissione di gara ha sempre carattere necessariamente unitario e complesso e non consente di escludere che, a giustificare il punteggio attribuito, concorrano contenuti qualitativi diversi da quelli espressamente considerati e tali da manifestare il superiore (in caso di attribuzione di un punteggio maggiore al RTI aggiudicatario) o equivalente (in caso di attribuzione dello stesso punteggio alle due offerte) pregio qualitativo dell’offerta del RTI aggiudicatario.”

Ecco la sentenza del 28.10.2022 n. 9312 completa


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